L'Articoli sulla Turchia: CRISTIANI IN TURCHIA
   
 

 

 

 

Cristiani in Turchia

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Aldo Maria Valli: il significato di una presenza

 

di Matteo Spicuglia/ 05/02/2007

 

Nel giorno del ricordo di don Andrea Santoro, incontriamo il vaticanista del Tg3, autore de "La porta accanto", un libro-diario di viaggio, che racconta la vita, le speranze e le difficoltà della piccola comunità cristiana della Turchia

 

 

 

Esserci nonostante le difficoltà, senza alcun progetto politico o sociale, semplicemente per testimoniare una presenza. I cristiani della Turchia sanno che la fede sa esprimersi anche nel silenzio e nell’essenzialità: la consapevolezza che traspare nella vita di don Andrea Santoro, ma anche in tante altre storie come quella di padre Claudio e dei suoi libri o dei cristiani della Caritas turca, capaci di dialogare attraverso gesti di solidarietà. Un mondo raccontato dal vaticanista e caporedattore degli esteri del Tg3, Aldo Maria Valli, in “La porta accanto”, libro edito dalla Paoline dedicato alle sensazioni, le storie e gli incontri di un viaggio in Turchia realizzato nell’estate del 2006 insieme alle Acli. “Non ho voluto scrivere un saggio - spiega Valli a Korazym.org – ma un diario che potesse dare voce alla realtà dei cristiani, attraverso la vita delle persone”.

Quale quadro emerge?
“Senza dubbio una realtà difficile. Non si può parlare di persecuzione, però il fatto che le confessioni cristiane continuino a non avere riconoscimento giuridico complica molto le cose. I cristiani poi sono pochissimi e, come mi diceva un padre domenicano che ho conosciuto, Claudio Monge, ‘sono anche ben divisi’. In Turchia, convivono infatti molte confessioni con poche migliaia di fedeli. Nel contesto attuale, la loro è quasi una scelta da eroi".


Due religiose partecipano alla messa di Benedetto XVI ad Efeso (29 novembre 2006)

È cambiato qualcosa dopo il viaggio di Benedetto XVI?
“Il processo di cambiamento sarà lungo. Di certo, la visita ha portato buoni frutti nel rapporto con l’Islam, anche sul piano dell’immagine. La preghiera del papa nella Moschea Blu ha colpito molto l’opinione pubblica e ha favorito una sorta di disgelo, almeno sul piano umano. Per quanto riguarda la situazione dei cristiani, tuttavia, è ancora presto parlare di vantaggi concreti. Il seme è stato gettato e qualcosa nascerà. Certo, le difficoltà continuano ad essere enormi, anche perché senza un riconoscimento non può esserci nemmeno un dialogo istituzionale”.

Nel suo viaggio, ha incontrato molti cristiani. Ci sono testimonianze o aneddoti particolari?
“Sono tanti. Penso all’incontro con lo stesso padre Claudio Monge, uno dei quattro domenicani del convento di Galata a Istanbul, luogo di fede antichissimo, risalente al V secolo. La struttura è grandissima e difficile da mantenere. Visitandola, colpisce che tutti gli spazi prima occupati dai religiosi, siano stati adibiti a biblioteca, con decine di migliaia di volumi di libri di filosofa e teologia cristiana. Quando ho chiesto a cosa servissero, padre Claudio mi ha dato una risposta eloquente: “Il loro posto è qui, nella seconda culla del cristianesimo, la terra della prima predicazione di San Paolo”. Anche da questo aneddoto si capisce come la volontà dei cristiani non sia quella di fare proseliti, ma semplicemente tenere viva una fiamma. Non a caso, padre Claudio non ama essere definito un missionario”.

Ne “La porta accanto”, lei parla anche dell’esperienza originale della Caritas…
“Sì. All’inizio non sapevo nemmeno che esistesse. La Caritas è formata da non più di 30 persone e coinvolge cristiani di tutte le confessioni. Di recente, è stata impegnata nei soccorsi del terremoto del 2003, e ha avuto numerosi contatti con il mondo musulmano. Un esempio di ecumenismo e di dialogo dal basso, attraverso la solidarietà: vicino ai bisognosi ci si conosce e ci si riconosce”.


L'incontro di Benedetto XVI e Bartolomeo I a Istanbul (30 novembre 2006)

Tra i tanti cristiani incontrati, ce ne è anche uno famoso, il patriarca ecumenico Bartolomeo I. Che effetto le ha fatto?
“È stato un incontro molto significativo. Bartolomeo è una personalità per certi aspetti ieratica, ma nei tratti umani è amabile. In lui ho visto l’approccio all’ecumenismo dell’uomo di fede. Quando ci ha ricevuto, ha parlato della sua amicizia con Giovanni Paolo II (tra l’altro, ha testimoniato nel processo di beatificazione) ma anche della grande nostalgia dell’unità con i cattolici. È un uomo di preghiera che crede nel dialogo, anche in una situazione difficoltà. Uno stile che vive in prima persona, dato che la comunità greco ortodossa è piccolissima e soggetta a molte restrizioni. In questo senso è stato importante l’appoggio del papa, anche in termini politici”.

Nazionalismo e identità religiosa, tradizione e apertura all’Occidente. In Turchia, sembra che vivano tanti paesi diversi. Quanti ne ha visti?
“Molti e tutti sorprendenti. La Turchia è davvero un Paese complesso e dalle mille facce. Vedi l’Islam tradizionale, ma anche l’Islam mistico delle confraternite; la voglia di normalità rappresentata dalle parabole e dai pannelli solari e al tempo stesso la difesa delle radici e delle tradizioni. È una nazione che attraversa un momento di passaggio, non privo di tensioni, come dimostra l’uccisione del giornalista Hrant Dink. Sul versante religioso, è importante però chiarire che oggi il problema non è l’Islam ma il nazionalismo che usa la religione in modo strumentale. Credo che ci voglia molta umiltà e disponibilità a conoscere a fondo la realtà turca”.


Don Andrea Santoro celebra Messa sul Mar Nero.
Alle sue spalle, la città di Trabzon (Foto Gabriella Nocita)

Impresa non sempre facile. Lo stesso omicidio di don Andrea Santoro è stato ridotto in molti casi ad un episodio di scontro religioso, dimenticando che il sacerdote era impegnato anche nella lotta alla tratta di essere umani. Politica, criminalità, nazionalismo: forse è sconveniente considerare tutti gli aspetti in gioco?
“Più che sconveniente, direi scomodo, specie per un giornalismo come il nostro che ruota in gran parte intorno al desk e alle agenzie di stampa. Non siamo abituati a scavare e andare a fondo; eppure sant’Agostino ricordava che il “mondo è come un viaggio e chi non viaggia ne conosce solo una pagina”. Una prospettiva che si adatta bene anche alla vicenda di don Santoro”.

In che modo?
“Nella sua storia si sono intrecciati molti elementi: era sì un cristiano, ma anche un elemento di rottura di un equilibrio e di interessi pesanti. Mi ricorda molto quanto fece San Paolo ad Efeso, mettendo in discussione il culto di Artemide e di conseguenza, gli interessi degli argentieri che su quello lucravano. Per questi motivi, dobbiamo andare dentro la complessità, facendola emergere. Nello specifico, in un momento in cui si parla di scontro civiltà, è necessario dire che il problema non è la religione ma la sua strumentalizzazione politica. Rifacendomi al titolo del libro, la porta accanto non deve essere chiusa, magari per superficialità: si deve avere piuttosto il coraggio di metterci la testa dentro".

FONTE: http://www.korazym.org


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