L'Articoli sulla Turchia: FUGA DI MEZZA NOTTE E' UN GRANDE BLUFF
   
 

 

 

 

Fuga di Mezza Notte : 

 

L’uomo che ispirò il film: «Chiedo scusa alla Turchia»

Né stupri né torture in carcere

«Fuga di mezzanotte? Un bluff»

 

 

 

 Billy Hayes torna a Istanbul dopo 30 anni e confessa che la pellicola di Alan Parker era «esagerata» e manichea..


ROMA — Basato su una storia vera. Anzi, verosimile. Anzi, con molte variazioni sul tema. A dirla tutta pieno zeppo di episodi inventati di sana pianta. Forse per gli esperti del ramo non è una sorpresa, perché «troppa realtà non è quello che vuole il pubblico» (Woody Allen). Maper chi il cinema lo frequenta da spettatore semplice, un po’ di meraviglia è il minimo: Fuga di mezzanotte — il film che nel 1978 raccontò al mondo l’orrore delle carceri turche— era in gran parte romanzato. Vera la storia di fondo: un turista americano, fermato all’aeroporto di Istanbul con due chili di hashish addosso, viene condannato a 30 anni di carcere. False le torture che si vedono all’interno della prigione di Sagmalcilar, dove il poveretto viene rinchiuso per cinque anni prima di riuscire a scappare.

 

È stato proprio il protagonista della storia vera (vera?) a raccontare tutto. Billy Hayes non ha più i capelli da hippy che aveva il 6 ottobre del 1970, quando fu arrestato mentre era in coda per il check in. E nemmeno lo sguardo perso che aveva sulla copertina di Midnight Express, il libro che scrisse dopo la fuga e che fu utilizzato come base per il film. È diventato un signore che tiene molto alla linea, vive a Los Angeles e campa, come molti da quelle parti, facendo il regista. La settimana scorsa è tornato ad Istanbul su invito della polizia turca. Niente guai con la giustizia, stavolta. Ma addirittura una poltrona da conferenziere in un convegno sulla sicurezza. L’occasione giusta per tornare su quelle scene di violenza che da caso cinematografico erano diventate caso politico. In Turchia le hanno sempre considerate inventate, accusando il film di aver tenuto lontano migliaia di turisti.

 

E di aver costruito quella cattiva fama sui diritti umani che ancora oggi è uno degli ostacoli più difficili da superare sulla strada che porta il loro Paese verso l’Unione europea. «Chiedo scusa ai turchi per tutti i problemi che il film ha causato» ha detto Hayes, sorridendo ai flash dei fotografi. «Molte delle cose viste in quella pellicola, in realtà non sono accadute». Falsa la scena in cui, appeso a testa in giù, il protagonista viene picchiato. Falsa la scena in cui i secondini lo violentano. Falsa (tanto per bilanciare) anche quella in cui lui stacca a morsi la lingua di una guardia. «Ma soprattutto— ha detto Hayes guardando fisso in telecamera — non è giusto che in tutto il film non ci sia nemmeno un turco buono. Io ne ho incontrati, pure in carcere». In realtà su questo punto qualche dubbio lo aveva avuto già sul set.

 

E al San Francisco Chronicle aveva raccontato anche la risposta del regista, l’allora promettente Alan Parker: «Mettere qualche turco buono sarebbe stato come fare vedere un nazista che offre una sigaretta agli ebrei che entrano nella camere a gas. L’impatto sul pubblico sarebbe indebolito». L’impatto sul pubblico: il risultato che Hollywood ha sempre raggiunto dividendo ferocemente il mondo tra buoni e cattivi. Ma di chi è la responsabilità? È vero che gli episodi più violenti ci sono nel film ma non nel libro. Ma questo non esclude che sia stato lo stesso Hayes a spingere lo sceneggiatore, un giovane Oliver Stone, a forzare la mano. Già pochi anni dopo l’uscita il produttore David Putnam disse che il film era basato su un «libro disonesto».

 

Mentre solo nel 2004 Stone, che per quella sceneggiatura vinse l’Oscar, si è scusato per «aver esagerato». Per anni né Stone né Hayes hanno messo piede in Turchia. Paura di ritorsioni. Oggi l’aria è cambiata. Hayes vorrebbe fare un film per raccontare il lato bello del Paese che quasi 40 anni fa lo sbattè in carcere. Per lui sarebbe una riparazione. Per la Turchia un formidabile spot per l’ingresso nell’Unione europea.

 

 

Lorenzo Salvia

20 giugno 2007

FONTE: http://www.corriere.it - 20.06.2007

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